La grande crisi del Kazakistan
tra uranio, petrolio e “terre rare”

di Francesco Maria Ventrella

Il Paese è ricco di idrocarburi ed è il primo produttore mondiale di uranio, il nono più grande esportatore di petrolio al mondo e il decimo produttore di carbone.

Dal 2 all’11 gennaio, il Kazakistan, è stata segnato da forti proteste dovute al rincaro dei prezzi di butano e propano. Il cambiamento di prezzo non è stato accolto con favore: il 90% delle automobili va a gas, inoltre questa risorsa è usata anche per il riscaldamento. I disordini si sono propagati velocemente, alimentati anche dal diffuso malcontento dovuto alla forte corruzione e alla disuguaglianza economica, aggravate ulteriormente dalla pandemia. Le proteste sono state represse con violenza: 7989 arresti, migliaia di feriti e 164 morti. Il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha addirittura autorizzato le forze dell’ordine ad aprire il fuoco sui manifestanti senza preavviso. La Russia, il suo più importante alleato con cui condivide quasi ottomila chilometri di confine, ha un forte interesse nell’aiutare il governo kazako. Non a caso, a seguito della richiesta del presidente Tokayev, nel Paese sono state inviate nel giro di poche ore delle truppe della Collective Security Treaty Organization (CSTO), l’alleanza militare che unisce le nazioni ex sovietiche ancora vicine a Mosca. Ma perché tutto questo interesse? Nonostante la tutela del Cremlino, negli anni il governo kazako ha accolto a braccia aperte le compagnie occidentali, tra cui Eni e Shell, che hanno portato nel Paese 161 miliardi di investimenti diretti nel 2020, 30 solo dagli Stati Uniti. Il Kazakistan inoltre è ricco di “terre rare”, un gruppo di 17 elementi chimici, impiegati nella produzione di molti apparecchi elettronici. È anche il secondo più grande minatore di Bitcoin dopo gli Stati Uniti. Infine sul suo territorio si trova la base di lancio Baykonur, strategica nel programma spaziale russo. A rivolta sedata, Tokayev, Putin e i leader degli altri Paesi del CSTO (Bielorussia, Kirghizistan, Armenia e Tagikistan) si sono riuniti per parlare della situazione. Gli interessi geopolitici in gioco sono molti. Il presidente russo Putin ha infatti dichiarato che le proteste sono di origine straniera e che un blocco militare a guida russa prenderà provvedimenti per garantire che futuri tentativi del genere falliscano.

Foto di: adnkronos.it

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