La Regione Puglia ha stanziato 300 milioni di euro per il rimpianto degli ulivi nell’ambito del piano straordinario per la rigenerazione olivicola, per gli anni 2020 e 2021. Ancora siamo in alto mare, ma le politiche degli sradicamenti continuano. Uno studio depositato da Marco Nuti, professore emerito di entomologia a Pisa, potrebbero però indicare un’altra strada.
Sradicare o non sradicare, questo è il problema.
Ed in Puglia, in effetti, lo è davvero. A far discutere è sempre la Xylella, centro nevralgico delle discussioni nel Tacco d’Italia ormai da più di dieci anni.
Ma cosa sappiamo?
La Xylella ha colpito, nel lontano 2013, decine di specie vegetali, tra cui le piante di olivo e mandorlo, nel Sud della Puglia, per poi espandersi arrivando in prossimità del Comune di Bari. Gli effetti riscontrati sono riconducibili al “Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo” (CoDiRO), ovvero il decadimento progressivo delle piante fino alla loro morte.
Per contrastare il fenomeno, il governo regionale ha seguito, insieme alle misure di controllo e monitoraggio fitosanitario, la via dello sradicamento delle piante infette, scommettendo sul reimpianto di specie di olivo “tolleranti” il batterio, come ad esempio la variante “Favolosa”.
Ma è veramente l’unica soluzione? Ed è tutta colpa di Xylella?
Partiamo dall’inizio.
Nel “Piano per contrastare la diffusione di Xylella Fastidiosa”, della Regione Puglia per gli anni 2023-2024, al paragrafo 4.4 (rimozione delle piante) sezione 1 (misure di eradicazione) viene scritto che: oltre a continuare con la politica degli sradicamenti e della successiva distruzione delle piante, questa deve essere ampliata anche agli ulivi monumentali non infetti. Il motivo è dovuto, secondo le istituzioni regionali, al rischio di contagio anche per le piante sane sottoposte a trattamenti fitosanitari.
Il piano, aggiornamento di uno precedente del 2022, vede come necessaria la rimozione degli olivi all’interno delle zone individuate come infette. Una misura radicale, già al centro del “Piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia” del 2019, nel quale si prevedeva lo stanziamento in tutto di 300 milioni di euro, per gli anni 2020 e 2021. Tra questi, erano previsti 40 milioni di euro, poi aumentati a 60 milioni, per aiutare gli agricoltori nella sostituzione delle piante.
Il problema è che questi soldi, come già denunciato da Coldiretti Puglia nel 2023, tardano ad arrivare. “Finora, pur con un numero importante di concessioni – spiega Pietro Piccioni, delegato confederale di Coldiretti Lecce – per l’espianto e il reimpianto di olivi resistenti non è stato liquidato neanche un euro agli agricoltori per le 8.133 domande singole e le 26 domande collettive. La richiesta degli olivicoltori supera 222 milioni di euro, a fronte di 40 milioni di euro disponibili per far scorrere la graduatoria dell’articolo 6 (che identifica chi è autorizzato a ricevere gli aiuti), ai quali sono stati aggiunti altri 20 milioni di euro dalla rimodulazione del Piano di rigenerazione”.
Misure molto dispendiose che colpiscono in primo luogo le tasche degli agricoltori.
Quale potrebbe essere l’alterativa?
Nell’audizione della commissione agricoltura, Camera dei Deputati, del 3 luglio 2024, sono stati ascoltati: Francesco Porcelli, professore di entomologia applicata dell’Università di Bari, e Marco Nuti, professore emerito dell’Università di Pisa, che alla fine ha allegato uno studio sullo stato di avanzamento di Xylella e le possibili alternative allo sradicamento.
Secondo quanto riportato nello studio “in tutta la penisola salentina, circa 6 milioni, sono ad oggi vivi (gli ulivi) ma con grave sintomatologia di disseccamento e molti, più di 100 mila e meno di un milione, sono completamente seccati, cioè morti”. Questi effetti, elencati dal rapporto depositato in commissione agricoltura da Nuti, che corrispondono alla sindrome del CoDiRO, sono originati da tre cause fondamentali:
- La salinizzazione dei pozzi, dovuta alla costruzione di almeno 70.000 strutture abusive, su 100.000, che comportano “l’intrusione salina dai mari colmando gli acquiferi più profondi e gli stessi raccolgono anche le acque dolci per infiltrazione dalla superficie”. Quindi l’acqua salata nel terreno, riversatasi a causa di pozzi abusivi, indebolisce le piante.
- Perdita di specializzazione della manodopera dedicata alle operazioni colturali, un effetto dell’espansione del mercato olivicolo che ha preferito la quantità alla qualità. Mancano gli esperti e un piano di monitoraggio adeguato per controllare in modo continuativo lo stato degli alberi.
- Interventi, cultivar, resistenza e virulenza dei patogeni, quindi quegli agenti esterni che infettano la pianta, come xylella.
Da questa prima classificazione, possiamo notare come la xylella sia solo una delle cause che inducono il disseccamento, affiancata dalla mancanza di manutenzione e dalle condizioni del terreno nocive per gli olivi. Lo studio prosegue ammettendo che lo sradicamento delle piante infette è una soluzione “estremamente sensata come protocollo generico di approccio e di misura di intervento imposta per contrastare l’epidemia di un microrganismo patogeno da quarantena”, anche se “non esiste ad oggi uno studio, o una bibliografia, che diano una corretta motivazione del perché si debba misurare 100 metri oppure 80 oppure 50metri dalla pianta infetta per eradicare anche tutte le piante ospiti, negative alla Xylella, che si trovano intorno alla pianta risultatata positiva alla Xylella”.
Partendo da questi presupposti, lo studio considera la misura degli sradicamenti, voluta dall’Unione Europea, come fallimentare per le caratteristiche del territorio pugliese:
- Il numero degli olivi: in tutto “in Puglia sono circa 65 milioni, di cui 11 milioni solo nella penisola Salentina”. La Xylella si è diffusa a macchia di leopardo rendendo nella pratica inutili le misure di sradicamento, che in applicazione degli articoli 9 e 16 del Reg. (UE) 2020/1201 sono seguite dalla distruzione delle piante.
- La dimensione degli alberi: che oscilla tra i 3 ed i 15 metri, molto superiore alla media europea “questo è dovuto sia all’ età, mediamente alta tra i 50 e i 1000 anni, sia alla diffusa assenza di adeguata potatura da anni”. Il problema, secondo lo studio, è che le misure di eradicazione sono indicate per le “hosting plants”, quindi piante co
me mandorlo oppure oleandro, mentre gli ulivi secolari sono in tutto e per tutto alberi. “Questa caratteristica rende molto più impattante, complicata e costosa l’azione di eradicazione”, continua il rapporto.
- I monitoraggi tardivi: l’individuazione del batterio e la successiva rimozione dell’olivo sono state attuate troppo lentamente. La malattia ha avuto il tempo di spostarsi, infettando altri alberi e rendendo inutili le precedenti misure.
Inoltre, sembra che la pandemia dal 2018 sia rallentata perché “ha raggiunto luoghi in cui la cura di alberi e terreni è decisamente migliore rispetto alla penisola Salentina”. Questo a riprova che una maggiore cura potrebbe essere il punto di partenza per un nuovo approccio al problema.
Cosa si può fare?
Lo studio prova a considerare un’altra strada: “Molti agricoltori, agronomi e ricercatori universitari hanno iniziato dal 2015 a sviluppare un nuovo tipo di approccio, olistico e multidisciplinare, attraverso specifiche pratiche agronomiche e biotecnologiche, perseguendo il principio scientifico secondo cui l’ambiente ed il terreno sano sviluppano una pianta sana, ed una pianta sana tollera e contrasta molto meglio le aggressioni fitopatogene in favore di una varia e articolata vita microbica che mitiga efficacemente la sintomatologia e la patologia, in un’ ottica della naturale e vitale convivenza tra microrganismi buoni e microrganismi cattivi, tra i quali il fitopatogeno ormai conclamatamente endemico nel territorio pugliese”.
Vengono indicate tre aree di intervento:
- Buone pratiche agronomiche
- Azioni di specifica disinfezione fogliare
- Ripristino della sostanza organica e altri importanti parametri del terreno
Per queste aree si struttura una procedura divisa in:
- Diagnosi del problema, con esami del terreno e delle piante.
- Interventi, composti da “Mitigazione dei fattori di indebolimento ambientali e del terreno”, “Mitigazione dei fattori di indebolimento della pianta” e “Fitopatie e fisiopatie”, ovvero misure di contrasto a parassiti e fitopatogeni.
Questa guida si basa sulle esperienze di quattro protocolli che si sono rivelati efficaci:
- Protocollo del Prof. Pergolese: In Agro di Ostuni sono stati utilizzati prodotti a base di cloro sulle piante. Successivamente, “è stato utilizzato sulle piante e sul suolo un consorzio di microrganismi utili (HMO) che hanno colonizzato il suolo e le piante, entrando in competizione con i microrganismi patogeni”. La risposta degli ulivi è stata positiva e sono nate nuove foglie sane.
- Protocollo del Prof. Scortichini: Si basa su un prodotto composto da zinco, rame e acido citrico per il rafforzamento delle foglie. In fase di perfezionamento sono stati usati bio fertilizzanti anche per il trattamento del terreno.
- Protocollo del Dott. in Ingegneria chimica Luigi Botrugno: Si utilizza un particolare prodotto fogliare, detto NuovOlivo, dove: “I dati ottenuti suggeriscono che questo detergente a base di estratti botanici funzioni in due direzioni: sullo sviluppo dei batteri, come parzialmente dimostrato dalle analisi di qRT‐PCR, e sul metabolismo delle piante, come si può dedurre dalle risposte fisiologiche ottenute nelle piante trattate”.
- Protocollo curato dalla Dott.ssa agronoma Emanuela Sardella: Si basa su un “concime fogliare liquido concentrato” detto Nutrixgold e utilizzato sia per rafforzare le foglie che per trattare il terreno. I risultati positivi del trattamento dimostrano come questo tipo di sostanza riesca a riattivare il metabolismo degli alberi colpiti dal disseccamento. Si aggiungono pratiche sulla gestione del terreno, trattamenti disinfettanti degli strumenti da taglio e delle piante dopo pratiche di potatura più frequenti.
Come si può intervenire?
Lo studio fa una differenza tra misure da adottare nelle zone cuscinetto, limite tra zona infetta e zona sana, e zona infetta.
Nelle prime, secondo le disposizioni regionali sembrerebbe necessario agire con maggiore forza e sradicare. In effetti, “vengono applicate misure di eradicazione della pianta positiva alla Xylella fastidiosa e delle hosting plants nel raggio di 50 m, a prescindere dalla sintomatologia”. Nella zona tra Bari e Brindisi gli ulivi sono solitamente in buona salute, con patologie che raramente riguardano la Xylella. “Nella zona cuscinetto si suggeriscono pertanto misure di intervento alternative alle eradicazioni, finalizzate alla mitigazione del rischio di disseccamenti e mantenimento o recupero dello stato di salute dei terreni e di produttività della pianta”.
Nelle zone infette, riporta ancora lo studio, come conseguenza della non obbligatorietà di adottare misure di contenimento, gli agricoltori sono poco informati e alternano il non fare niente all’espianto degli ulivi spinti dall’influenza mediatica e dalle istituzioni regionali. Viene perciò consigliata l’adozione di misure di mitigazione, come la potatura, per evitare di ricorrere agli sradicamenti anche di piante sane. Soprattutto si ritiene improcrastinabile una nuova normativa, che sia in grado di rispondere alla domanda se sradicare sia davvero la scelta giusta.