Xylella, una diagnosi precoce della malattia è possibile

di Dalila Scagliusi
A cura di: Michele Carpato, Maria Antonietta Mastropasqua e Dalila Scagliusi

Da una collaborazione internazionale la proposta di nuovi metodi: più veloci, più economici, più efficaci

Non è una novità che il batterio Xylella fastidiosa – che infetta oltre 655 specie vegetali tra cui gli ulivi – abbia ridotto a scheletro il territorio salentino, causando una delle più gravi emergenze fitosanitarie in Italia, e devastando non solo il paesaggio, ma anche, e soprattutto, l’economia agricola.

Xylella fastidiosa è stata rilevata, per la prima volta in Italia, nell’ottobre del 2013, in provincia di Lecce. Da allora, sono passati più di 10 anni e sono stati abbattuti più di 15mila alberi a seguito delle campagne di monitoraggio, la maggior parte dei quali erano ulivi secolari e monumentali.

Tra il 2016 e il 2017 un gruppo internazionale di ricercatori ha analizzato 1450 ettari in Salento: in tutto 7269 ulivi. Lo studio ha messo insieme università e istituzioni di Melbourne, Cordova, Ginevra, Bari, Swansea.

L’obiettivo: identificare sintomi precoci di due dei patogeni che colpiscono la specie, il batterio Xylella fastidiosa (Xf) e il fungo Verticillium dahliae (Vd). L’area, infatti, era nella zona devastata dall’epidemia di Xylella, e affetta anche dal fungo.

Entrambe queste malattie compromettono lo xilema, un tessuto che fa parte del sistema vascolare degli ulivi (e in generale della maggior parte delle piante). Un sistema vascolare compromesso significa un deficit nella circolazione dell’acqua e delle altre sostanze nutritive: quindi traspirazione ridotta e tutto l’organismo sotto stress idrico. È per questo che i sintomi di entrambi i patogeni possono essere confusi con quelli da carenza d’acqua. E la sfida degli studiosi era proprio questa: riuscire a identificare un’infezione da Xylella o da Verticillium a uno stadio precoce, e riuscire a farlo con precisione, quindi secondo sintomi specifici dei rispettivi patogeni.

I metodi tradizionali, infatti, si basano su osservazioni sul posto e analisi di laboratorio: più facilmente accurati, impiegano però molto tempo, molto personale, molte risorse. Per di più i sintomi diventano visibili solo quando la malattia è a uno stadio già avanzato, diminuendo così le possibilità di intervenire efficacemente.

Metodi tradizionali

Le tecniche tradizionali per rilevare la presenza di Xylella fastidiosa negli ulivi hanno avvio dall’osservazione visiva con cui sia tecnici sia agricoltori ispezionano gli ulivi per rintracciare i sintomi prodotti dal batterio. Ingiallimento delle foglie, disseccamento dei rami, e riduzione della produzione di olive sono tra i più comuni. Un secondo step è rappresentato dal campionamento fitosanitario con il quale si procede al prelievo di campioni di foglie, rami e tessuti vegetali sospettati d’essere infetti: questo sarà verificato attraverso attività di laboratorio. Un terzo gradino è quello dei test sierologici con i quali si cerca la presenza di anticorpi o antigeni specifici del batterio nei campioni prelevati in precedenza. Un metodo molto avanzato è rappresentato dall’analisi PCR (Reazione a catena della polimerasi), una tecnica molecolare che consente di amplificare il materiale genetico del patogeno presente nei campioni vegetali, permettendo una diagnosi più precisa e rapida. Ancora più dettagliate sono sia l’analisi microscopica che il monitoraggio degli insetti vettori. La prima punta ad usare tecniche di microscopia per osservare direttamente la presenza di batteri nei campioni, mentre la seconda è una forma di gestione e prevenzione del contagio che viene svolta monitorando gli spostamenti della sputacchina che veicola il batterio trasportandolo di pianta in pianta.

Al contrario, i ricercatori hanno valutato alcuni parametri (come temperatura della chioma, grado di brillantezza della foglia) e hanno poi aumentato l’accuratezza con un algoritmo ad apprendimento automatico. Per farlo hanno utilizzato delle metodologie che si basano sull’integrazione di dati multispettrali satellitari con informazioni termiche e iperspettrali aviotrasportate.

Nuovi metodi di rilevamento

Sono state, quindi, utilizzate immagini multispettrali satellitari  , due piattaforme commerciali che operano in orbita sincrona al sole. In ambito agricolo, queste immagini possono essere adoperate per verificare lo stato delle colture. Esse, infatti, combinando i vantaggi della spettroscopia (scienza che misura l’intensità della luce a diverse lunghezze d’onda) e dell’imaging (metodo che rende possibile osservare un’area di un organismo non visibile dall’esterno), consentono di ottenere una sorta di “fotografia chimica” del campione e di evidenziare aspetti difficilmente visibili ad occhio nudo.

Immagine iperspettrale di un’area della Puglia infettata da Xylella

Le immagini multispettrali sono state utilizzate, quindi, per il monitoraggio su ampia scala degli alberi di ulivo e hanno offerto una risoluzione spaziale elevata. Tuttavia, questo tipo di dati ha dimostrato una capacità limitata nel rilevare i sintomi precoci della malattia, mentre ha mostrato precisione nella rilevazione del batterio quando la malattia è in uno stato intermedio e avanzato.

I ricercatori hanno, quindi, migliorato l’accuratezza complessiva del sistema grazie alla combinazione di queste immagini con sensori iperspettrali e termici posti su droni e velivoli pilotati.

I sensori iperspettrali, infatti, consentono di misurare la radiazione riflessa dagli oggetti in centinaia di bande continue, permettendo di ricostruire quella che viene definita “firma spettrale”, una caratteristica unica per ogni oggetto presente sulla superficie. Nei corpi idrici, come appunto gli alberi, questi sensori permettono di rilevare lo stress idrico e la presenza di inquinanti antropici; soprattutto, consentono di quantificare il contenuto di clorofilla e di materia organica.

La combinazione di immagini iperspettrali e termiche ha permesso, quindi, di monitorare la riduzione dei tassi di traspirazione e della fotosintesi all’interno delle piante infette. In particolare, il parametro che indica lo stress fotosintetico è stato fondamentale per distinguere tra le situazioni di stress causate da patogeni e quelle causate da fattori ambientali.

Questo studio ha, inoltre, evidenziato l’importanza di indicatori basati sulla temperatura, come la differenza di temperatura aria-chioma o l’indice di stress idrico delle colture e l’emissione di fluorescenza clorofilliana indotta dal sole, per l’individuazione precoce dei sintomi biotici.

I dati, raccolti da sensori iperspettrali e termografici a banda stretta, hanno potuto essere combinati con successo per rilevare i sintomi non visivi causati dall’infezione da Xylella fastidiosa negli ulivi.

La ricerca ha utilizzato un approccio di apprendimento automatico che ha tenuto conto dei tratti delle piante: pigmenti, strutture, fluorescenza e calore. In questo modo l’accuratezza nella rilevazione dell’infezione è aumentata, fino a raggiungere l’80%.

Distinguendo poi sintomi innescati dalle infezioni Xylella fastidiosa e Verticillium dahliae dalle risposte indotte dallo stress idrico, le accuratezze hanno superato il 90%.

Ma gli studi non si sono fermati qui. Per migliorare l’individuazione e la differenziazione dei sintomi causati dall’infezione dal batterio e dal fungo è stato proposto un ulteriore perfezionamento con un metodo a tre stadi.

Questa metodologia ha permesso di individuare e differenziare le infezioni da Verticillium dahliae e Xylella fastidiosa da un set di dati misto (Xf + Vd) con un’accuratezza rispettivamente del 98% e del 92%.

Nel complesso, questo gruppo di ricercatori ha efficacemente dimostrato che l’individuazione della malattia, negli stadi intermedio e avanzato, può essere effettuata con successo semplicemente grazie ad immagini multispettrali commerciali, come quelle di Worldview, mentre l’individuazione precoce dei sintomi richiede l’incrocio con dati iperspettrali.

Questo metodo, quindi, efficace quanto quello tradizionale, risulta essere molto più economico e veloce.

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