I carabinieri cercavano carte per ricostruire al meglio il periodo “stragista” in cui il boss ha avuto un ruolo strategico. Investigatori a caccia di un secondo covo
Si è conclusa con un nulla di fatto la perquisizione nel “covo” del boss mafioso Matteo Messina Denaro, arrestato lunedì a Palermo, dopo una latitanza trentennale. Una casa “normale” quella in cui ha vissuto almeno negli ultimi mesi il boss di Castelvetrano. Un appartamento ben ristrutturato, al piano terra di una palazzina a due livelli in vico San Vito, a Campobello di Mazara, nel Trapanese. La “primula rossa” di Cosa nostra trascorreva le sue giornate in tre vani con cortile, da cui si accedeva all’immobile. L’ingresso si affaccia sul salotto, mentre a sinistra c’è una piccola cucina. Attraversato il salotto c’è un corridoio che porta, nell’ordine, in una stanza adibita a palestra e, subito dopo, in una camera da letto con annesso bagno. L’immobile risulta intestato al geometra Andrea Bonafede, il fiancheggiatore che aveva “prestato” la sua identità a Messina Denaro e che ora è indagato per associazione mafiosa.
Il “nascondiglio” dell’ultimo capomafia noto alle cronache, almeno per ora, non ha restituito nessun documento utile per giungere alla verità sul periodo stragista e sui mandanti esterni a Cosa nostra. Tanto che gli inquirenti sospettano dell’esistenza di un secondo immobile in cui continuare a “scavare”. «Perquisizioni e accertamenti sono in corso – ha detto alla stampa il comandante provinciale dei carabinieri di Trapani Fabio Bottino – e stiamo rilevando la presenza di tracce biologiche, di eventuali nascondigli o intercapedini dove può essere stata nascosta della documentazione. Un lavoro per il quale occorreranno giorni». Per il momento, nella casa di Campobello sono stati ritrovati vestiti e scarpe di lusso, ricevute di ristoranti, medicinali e un frigorifero con una grossa scorta di cibo.