Secondo i familiari di Massimo Calò è stato colpito con una caffettiera, ma non lo avrebbe denunciato per non perdere alcuni benefici. L’uomo è morto lo scorso 4 febbraio dopo un mese di coma
Il detenuto Massimo Calò, 52 anni, il 4 febbraio potrebbe essere morto a causa di un’aggressione fisica in cella e non per una caduta dal letto. È su questo che la Procura di Lecce ha aperto un fascicolo. Esattamente un mese prima, il 4 gennaio, Calò aveva dichiarato agli operatori di essersi infortunato accidentalmente e soltanto dopo tre giorni è stato richiesto il suo trasferimento d’urgenza dal carcere di Borgo San Nicola all’ospedale Vito Fazzi di Lecce. L’uomo era poi entrato in coma a causa di un’emorragia cerebrale.
Massimo Calò avrebbe finito di scontare la pena per rapina il prossimo agosto ed era in attesa di un permesso premio e dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Secondo l’avvocato di Calò, l’uomo avrebbe nascosto l’aggressione proprio per non perdere questi benefici. Le indagini sono state avviate sulla scorta della denuncia a mezzo social dei familiari della vittima. Gli inquirenti mirano a chiarire anche la condotta del medico di turno del penitenziario Borgo San Nicola che in prima istanza non avrebbe valutato correttamente lo stato di salute di Calò.