La presidente del Consiglio dei ministri ha respinto le accuse di favoreggiamento e peculato, sul rimpatrio del torturatore libico e ha definito l’indagine un danno alla Nazione. La premier ha poi aggiunto che la ritiene un atto voluto della magistratura contro il Governo
“Indagarmi è un danno alla Nazione”, con queste la parole la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si è difesa ieri in collegamento con il programma tv “La Ripartenza”, di Nicola Porro, sul caso del rimpatrio del generale libico Almasri.
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“Io ieri mi sono ritrovata – continua la premier – sulla prima pagina del Financial Times, con la notizia che sono stata indagata”: Meloni ha sottolineato come una notizia di questo tipo abbia ricadute pesantissime sull’Italia e la sua economia e ha fatto l’esempio di titoli di Stato che potrebbero perdere valore all’estero, dove la notizia, secondo la presidente del Consiglio, viene recepita senza alcun tipo di contestualizzazione.
Questo intervento è l’ultimo atto dello scontro in atto tra governo e magistratura che nell’avviso di garanzia inviato alla premier dal procuratore di Roma, Lo Voi, trova il suo punto di rottura più alto. Quello del procuratore “è un atto voluto”, ha dichiarato la premier. Per ripercorrere la vicenda, il 18 gennaio il generale Almasri, su cui pende un mandato di cattura della Corte Penale Internazionale con l’accusa di tortura, è stato arrestato a Torino dopo essere stato avvistato anche in altri paesi europei, come Spagna e Germania. Il generale è stato però rilasciato e riaccompagnato in Libia perché l’arresto non era stato convalidato, come previsto dalla legge, dal Ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Il caso, che ha suscitato non poche critiche, si è ulteriormente inasprito con l’invio dell’avviso di garanzia alla Meloni. La partita, però, è tutt’altro che chiusa, come ha ribadito la Presidente del Consiglio che ha dichiarato: “Io non mollo”.