«Il nostro obiettivo, grazie all’intelligenza artificiale, è costruire una piattaforma per valutazione di materiale digitale presente nei siti web, oppure oggetto di sequestro, utilizzabile real-time dagli operatori di polizia». A spiegarlo è Giovanni Dimauro, professore associato di Programmazione e di Sistemi multimediali presso il dipartimento di Informatica dell’università degli studi di Bari “Aldo Moro”, dove svolge attività didattica per i corsi di laurea in Informatica e in Bioinformatica, e coordina l’area di ricerca “Software engineering for health care” del laboratorio Software engineering research laboratory (Serlab). È coordinatore del consiglio di interclasse dei corsi di studio e delegato del rettore ai rapporti con le istituzioni pubbliche e gli ambiti produttivi privati dell’area jonica. La sua area di ricerca è in e-health, multimedia systems, medical informatics e pattern recognition con applicazioni in medicina, come nuove tecnologie per la diagnosi e il monitoraggio dell’anemia e del Parkinson. Ha pubblicato oltre duecento articoli scientifici, detiene due brevetti e ha progettato alcuni sistemi software per la diagnostica medica. È membro del collegio del dottorato in Smart and Sustainable industry in collaborazione con il Politecnico di Bari e del dottorato Digital innovation and E-health dell’università di Bari, e membro del comitato editoriale e revisore di riviste scientifiche internazionali. È responsabile scientifico di numerosi progetti di ricerca finanziati dal Miur, dal Mise, da aziende e altri enti.
Professor Dimauro, l’università di Bari e la polizia postale hanno sottoscritto un accordo per la prevenzione e il contrasto dei crimini informatici, in particolare della pedopornografia. Quali sono le soluzioni tecnologiche innovative citate nel protocollo che state realizzando?
«C’è da fare una premessa. La pedopornografia integra diversi reati le cui vittime sono i minori, spesso bambini, e questo è ripugnante. Gli organi di polizia, a livello anche internazionale, fanno un duro lavoro per verificare centinaia di segnalazioni di siti web che pubblicano foto e video di questo tipo. Ciò espone gli operatori in maniera continuativa a contenuti che, a lungo andare, possono creare anche disagio. Il dispendio di risorse umane e strumentali necessarie per porre un freno al fenomeno è enorme. Ecco, in questo è importante studiare soluzioni tecnologiche che possano supportare il lavoro degli operatori, compiere un lavoro più sistematico e approfondito, e ridurre il più possibile i tempi di intervento. È uno dei settori in cui l’intelligenza artificiale può fare la differenza, in positivo ovviamente».
In un passaggio del protocollo si afferma l’impegno alla diffusione della cultura della sicurezza informatica. Quali saranno le vostre iniziative?
«La nostra università è impegnata da tempo nella preparazione di professionisti della sicurezza, con i corsi di laurea magistrali in Sicurezza informatica (nella sede di Taranto) e di Computer science – Security engineering (nella sede di Bari). È stata una scelta lungimirante, vista la crescente esigenza di questi esperti da parte di enti e aziende. La scelta è stata premiata dai molti immatricolati, una sessantina all’anno, che scelgono di specializzarsi in questi temi, tutti richiestissimi dal mercato del lavoro. Gli organi di polizia svolgono già un grande lavoro anche divulgativo sulla cultura della sicurezza, e intervengono con attività seminariali all’interno dei nostri insegnamenti per far toccare con mano le problematiche reali ai nostri studenti. Cercheremo di contribuire anche in maniera più ampia con iniziative pianificate con loro, è un lavoro molto delicato, da svolgere in sintonia con chi lo tratta ogni giorno, soprattutto in tema di pedopornografia».
Secondo lei, i ragazzi hanno percezione dei rischi che corrono condividendo materiale privato online?
«Qualunque materiale immesso in rete, che si tratti di immagini, video, ma anche solo pensiero, può prendere strade infinite e dare origine a problemi impensabili. Ci vuole molta prudenza, caratteristica che per loro natura nei ragazzi non è compiuta, ma anche in molti adulti. Molto spesso si tratta di pura ingenuità, altre volte qualcosa di più. Ritengo utile parlare dei rischi della tecnologia fin dalle scuole primarie, perchè i dispositivi di accesso alla rete sono sempre più spesso in mano a persone sempre più giovani e sempre più abili nell’usare questi strumenti».
Nel protocollo si parla di individuazione automatica o semiautomatica di materiale digitale lesivo della dignità umana: come può essere utilizzata l’intelligenza artificiale per raggiungere gli obiettivi del protocollo?
«Non posso svelare i dettagli perché sono coperti da una clausola di riservatezza con il ministero, però possiamo immaginare un sistema che simuli le capacità umane di discriminare adulti da bambini, e circostanze che si riferiscono alla pornografia. Le tecnologie dell’intelligenza artificiale hanno fatto passi da gigante negli ultimi anni. Siamo in grado di progettare sistemi che vedono e distinguono come gli uomini, talora con maggior precisione; possiamo analizzare video, testi, audio con grande velocità, estrarre e verificare il contenuto di interi siti web in pochi minuti. Sistemi questo tipo sono molto “affamati di dati”, ne hanno bisogno per addestrarsi. Nel caso della pedopornografia, questo è un serio problema, perché la sola detenzione di immagini costituisce reato. Si è instaurata un’eccellente collaborazione con gli organi di polizia e la magistratura per rendere possibile l’utilizzo, con le dovute cautele, di materiale utile a progettare i sistemi. In questo contesto, nel software “Engineering Research LABoratory” (http://serlab.di.uniba.it) del dipartimento di Informatica, in particolare nelle persone dei professori Danilo Caivano, Vita Barletta e il sottoscritto, si stanno progettando e implementando le tecnologie necessarie. Siamo a un ottimo punto».
Ma quali sono gli obiettivi a lungo termine?
«L’obiettivo che ci siamo dati, e che speriamo di raggiungere, è di costruire una piattaforma per valutazione di materiale digitale presente nei siti web, oppure oggetto di sequestro, utilizzabile real-time dagli operatori di polizia. Non prevediamo di sostituire l’intervento umano, che a mio avviso è imprescindibile, però intendiamo fornire un ausilio importante, come ho detto prima, per ridurre l’esposizione alle immagini, accorciare i tempi delle indagini e ampliare l’orizzonte di intervento. Sarà poi necessario formare gli operatori all’utilizzo e concordare la gestione della piattaforma che, naturalmente, non potrà essere dell’università».
È sufficiente un’iniziativa di questo tipo o ne servono altre?
«Il contrasto al crimine deve essere attuato in ogni modo, ancor più quando le vittime meritano tutele speciali, come i bambini. Noi svolgiamo ricerca, cerchiamo di ideare e progettare soluzioni nell’ambito informatico, di sperimentarle e di renderle utili alla società, ma ogni altra iniziativa è benvenuta. In particolare sulla pedopornografia, si fa molto lavoro anche in ambito internazionale, in particolare europeo. Certo, il coordinamento sarebbe importante. Anche l’attività di prevenzione è d’obbligo, attraverso divulgazione e educazione in tema di sicurezza, come si diceva prima».
I fondi per la ricerca su questi temi ci sono?
«I fondi per la ricerca si trovano, devo dire che nelle università spesso si studiano temi rilevanti anche per sola passione, pur se non sono disponibili fondi da subito. Ma dopo aver ottenuto risultati soddisfacenti deve essere avviato un processo di industrializzazione dei risultati della ricerca, con altri attori, eventualmente in collaborazione con le università. Nel caso in questione credo che lo stakeholder primario sia lo Stato, anzi gli Stati. Su questo punto devo dire che un’importante agenzia di investigazione europea ci ha chiesto approfondimenti sui risultati del nostro studio con l’obiettivo di finanziarne lo sviluppo industriale».