L’idea è quella di introdurre un limite massimo per le spese delle società italiane per contenere i costi. I modelli statunitense e spagnolo
Addio alle spese folli in Serie A tramite l’introduzione di un “tetto salariale”? Imporre un tetto massimo di spesa ai club del massimo campionato italiano sembrerebbe l’unica via percorribile per salvare un movimento sempre più in difficoltà economica. Soprattutto dopo il crollo dei ricavi causato dalla pandemia e dagli effetti negativi del recente flop della Nazionale.
Nel mondo dello sport infatti c’è già chi ha adottato queste regole economiche: come nel caso della NBA e della Liga spagnola. Nella NBA americana (lega di basket più famosa al mondo) il “salary cap” ha una duplice funzione: il contenimento dei costi ma soprattutto garantire una parità competitiva. Inoltre, per chi dovesse sforare il “tetto salariale” scatterebbe la “luxury tax”: ovvero una multa salatissima.
Nella Liga spagnola (massimo campionato calcistico iberico, equivalente della nostra serie A) il “salary cap” viene applicato in maniera differente. Il tetto salariale infatti, è legato ai bilanci delle singole società (e quindi alla differenza tra costi e ricavi). L’obiettivo dunque non è quello di garantire la competitività tra le squadre ma di assicurare la solidità del sistema agganciando il monte ingaggi ai ricavi, depurati dalle plusvalenze.